Epoché husserliana

Nella fenomenologia husserliana l’epoché, o sospensione del giudizio, è un atto libero, volontario del soggetto volto non alla negazione del mondo, o all’affermazione del dubbio ontologico degli scettici, bensì alla «messa in parentesi» dell’atteggiamento naturale e di tutto quanto esso abbraccia sotto l’aspetto ontico, cioè l’intero mondo naturale che è costantemente «qui per noi», sia nella vita «pratico-naturale» di ciascun essere umano, che nelle scienze, come un mondo preliminarmente essente. Dunque, Husserl attraverso tale tecnica sospensiva intende impedire alle proprie analisi qualunque approccio esperienziale al reale «in un senso ingenuo e diretto»: l’intero mondo «non provato, ma anche non contestato», così com’è posto nell’atteggiamento naturale insieme alle teorie scientifiche o filosofiche ad esso riferentisi, viene messo fuori azione, in parentesi.

È in virtù dell’esercizio dell’epoché che, a parere di Husserl, il tradizionale rapporto dicotomico anima/corpo si trasforma in un’«inerenza pura intenzionale»: l’epoché del mondano dischiude il terreno della conoscenza di essenze o eidetica di contro alla conoscenza dei dati di fatto. Dopo la neutralizzazione dell’esperienza naturale, Husserl si domanda cosa resti, quale sia il «residuo» di tale operazione il cui risultato consiste nella costituzione delle «regioni» cui corrispondono altrettante «ontologie regionali», ovvero le scienze eidetiche che fissino «con razionale purezza cioè eideticamente, l’essenza della natura, nonché tutte le modalità essenziali degli oggetti naturali». Si dischiuderà una regione, indicata da Husserl come «pura coscienza», ovvero come «regione assoluta dell’autonoma soggettività», designata anche come coscienza trascendentale, cui si perverrà attraverso l’applicazione metodica dell’epoché trascendentale. Sotto l’aspetto del metodo fenomenologico, la riduzione husserliana assume, pertanto, il carattere della gradualità: infatti, si passa da un’epoché eidetica ad un’epoché trascendentale.



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