Sacro/profano

Da un punto di vista fenomenologico, il sacro è essenzialmente potenza. Il nocciolo della sacralità è questo: il sacro dà potenza, mentre l'impotenza è nulla. Toccare un oggetto, una statua, un'immagine sacra non provoca una mera suggestione psicologica, bensì è una forma di contagio, una contaminazione che trasmette potenza sacrale: il contatto con la sacralità è sostanzialmente una trasmissione di potenza.
La condizione profana coincide, per la fenomenologia, con lo stato di impotenza radicale. Questo stato è connotato dall'assenza di qualunque autonoma titolarità di vita e di senso, che solo la Potenza, cioè la Sacralità, disponendo originariamente di entrambe, può elargire. Inoltre, il termine "profano" non è fenomenologicamente sinonimo del termine "secolare". La secolarità connota una condizione umana e cosmica di assoluta indipendenza da Dio, si creda o no alla Sua esistenza. La profanità, invece, presuppone l'esistenza indubitabile di figure potenti e implica la credenza nell'assoluta dipendenza — quanto alla vita e al senso — dell'uomo e del cosmo da esse.
Le culture mitico-rituali ignorano totalmente il secolare, cioè l'idea propria dell'Occidente moderno che l'uomo possa condurre una vita autonoma e indipendente dal Sacro. E proprio questa fondamentale particolarità antropologica — sistematicamente ignorata dai demo-etno-antropologi e dagli storici delle culture che confondono il secolare con il profano — sigla e fissa la condizione specificamente profana di tali culture aliene.

L'irruzione rituale del sacro è sempre finalizzata ad una reale coniugazione salvifica, perché elargitrice di vita e di senso, tra gli spazi e i tempi forti, abitati dalle figure potenti, e gli spazi e i tempi deboli e, quindi, profani, abitati dagli uomini e dalle loro cose. A volte, la semplice recitazione di un testo mitico - come accade, ad esempio, nei rituali buddistici - è un mezzo bastevolmente efficace per allontanare il male dall'uomo e dal mondo. Ma ciò apparirà sempre del tutto incomprensibile ed impossibile, se non si presuppone la presenza incarnata delle figure potenti nel testo stesso in cui la rivelazione mitica è precipitata, diventando segno manifesto di realtà e di senso per ogni precaria esistenza. Inerti e, tuttavia, viventi, tali figure e, comunque, sempre pronte, volendo, a scattare come un congegno caricato a molla.

Nella fenomenologia della religione la potenza è sempre funzione dell'eccezionale, del fuori misura, dello straordinario, ecc. (secondo una lezione estetologico-psicologica). Ma il concetto originario di potenza va ricondotto essenzialmente alla Hilflosigkeit, ossia alla "mancanza d'aiuto", di sostegno certo, tipica della condizione umana fin dalle origini. La potenza del sacro scaturisce direttamente dall'impotenza radicale dell'ominide. Il vissuto della disperazione fossile è al fondo della nostra esistenza, è una matrice che proviene dalla paleontologia: è la condizione fondamentale dell'uomo a partire dalla australopitecina. L'immanenza assoluta è propria della condizione animale. L'animale vive nel mondo come una goccia d'acqua nel mare, ma l'animale che perde questa immanenza, muore. Per ogni organismo vivente non avere un programma biologico adeguato significa essere condannato all'estinzione. In altri termini, se un animale perde la sua "solidarietà vitale" con l'ambiente, si estingue. In seguito alla rottura della solidarietà vitale, dovuta a mutamenti ambientali e climatici, la australopitecina era destinata all'estinzione. La dinamica di questa rottura potrebbe riassumersi nell'idea di qualcosa che viene a separarsi da qualcos'altro: ciò di cui si ha bisogno per esistere non è più a portata di mano, in presa diretta, come nella condizione animale della solidarietà vitale. Questa lontananza che uccide è la "trascendenza irrelata". La prima forma in cui il sacro si manifesta è dunque quella di una trascendenza che uccide. Ma la separazione, la lontananza che in tutte le altre specie del pianeta conduce all'estinzione, nell'animale umano fu colmata dalla solidarietà artificiale. Dopo la rottura della solidarietà vitale l'animale umano si è salvato — noi ci siamo salvati — con l'istituzione della cultura. La solidarietà animale venne sostituita dalla solidarietà artificiale, il cui senso è legato alla trascendenza. E a questa trascendenza si attribuirono un'intenzione e una volontà: la "lontananza che uccide" si coprì di un senso, consentendo così di relazionare l'irrelato.

Il sacro come cratofania, come manifestazione di potenza, scaturisce pertanto come funzione della disperazione fossile: è potente tutto ciò di cui si ha bisogno e la cui privazione atterrisce. E siccome l'uomo ha bisogno di tutto, "tutto è pieno di dei". L'impotenza è il dominio del profano, totalmente debole, mentre il dominio del sacro si articola mediante l'individuazione delle varie potenze, la loro gradazione e gerarchizzazione. Il vissuto del tremendum è dunque un vissuto primario. La prima apparizione del sacro è quella del tremendum, ma la sua lontananza — in sè irrelativa — diviene relativa in virtù del culto. La trascendenza che uccide viene relata dal culto: è questo il senso originario con cui l'uomo si è inventato un sacro trascendente che però può essere persuaso, convinto. Bisogna dunque ingraziarsi il Sacrum tremendum, ed assisterlo liturgicamente.
L'essenza fenomenologica della ierofania è data, quindi, dalla cratofania. E per la fenomenologia è da intendere come cratofanica non tanto la rivelazione eccezionale, soprannaturale, abnorme, miracolosa, etc., ma semplicemente quella che elargisce all'uomo e al mondo — cioè all'universo impotente, vale a dire profano — quello di cui essi non dispongono in alcun modo autonomamente, cioè esistenza e senso.

 



Glossario