17.
Il "miracolo" è un aspetto tipicamente indigeno della religiosità colta occidentale, perché esso, in quanto deviazione o sospensione delle leggi naturali, può esistere e aver senso solo all'interno di una cultura che, come la nostra, ha inventato le cosiddette leggi naturali1. Nelle culture a fondamento assoluto ed esclusivo mitico-rituale e nelle comunità tradizionali popolari non esiste il miracolo vero proprio, perché il rapporto tra il Sacro, da una parte, e l'uomo e il mondo dall'altra, è, in queste, quotidiano e continuo, come attesta ampiamente la minuta tematica degli ex-voto, ammassati nei santuari dell'intera ecumene, a testimoniare l'assenza o una credenza molto vaga e incerta nell'esistenza di leggi naturali "inanimate". Il termine "miracolo", allora, è stato semplicemente mutuato dalla classe colta ed è stato usato, poi, semanticamente stravolto, da parte dei ceti popolari, presso i quali la credenza in eventi miracolosi cela, in realtà, una semantica opposta, cioè il vissuto di un rapporto diffuso, pervasivo e ininterrotto dell'uomo con le figure potenti.
Questi rilievi, ora, che, in prima istanza, sembrano esaurirsi nell'ambito della ristretta problematica del miracolo, debordano, in realtà, sotto lo sguardo fenomenologico, al di là di tale perimetro tematico. Infatti, i connotati della devianza, rispetto alle ordinarie leggi della natura, quindi della eccezionalità e della straordinarietà, e il confinamento del miracolo alla cultura "colta" dell'Occidente, comportano non solo l'inapplicabilità di tale figura nell'analitica del Sacro in culture mitico-rituali che ignorano l'idea di natura, ma anche l'inopportunità di impiegare, in simili analisi, concetti metafisici e teologici di matrice occidentale, quali alterità assoluta, trascendenza, sovrasensibile, soprannaturale, spirituale, etc., come attributi essenziali di ogni ierofania. Sebbene la distinzione tra il Sacro e il profano la si riscontri presso tutte le culture dell'ecumene, il significato di tali elementi e l'indole del loro rapporto reciproco appaiono diversificarsi profondamente, quando l'analisi fenomenologica prova ad accostare l'universo mitico-rituale occidentale a quello non occidentale. Nell'Occidente moderno, ad esempio, il termine "profano" è ritenuto sinonimo di "secolare". Se, ora, tale sinonimia viene proiettata - come se fosse ovvia - su dati di culture altre dalla nostra, questi vengono fatalmente sfigurati, perché in tali culture l'idea di una condizione umana secolare, cioè di una esistenza e di un senso del tutto autonomi, in quanto sottratti totalmente al Sacro, è del tutto assente. È, poi, intuitivo che una simile imponente dissomiglianza semantica debba, di necessità, comportarne delle altre e, infatti, anche la concezione che del Sacro e della relazione con esso hanno queste culture è analoga a quella nostra solo in apparenza.
L'invenzione occidentale di un divino soprannaturale, puramente spirituale, assolutamente Altro, appare, fenomenologicamente, come l'esito del contraccolpo sul Sacro del processo lento e precoce, sfociato nella secolarizzazione dell'Età moderna, che ha indotto alla marginalizzazione crescente del Sacro e alle sue attuali tendenze dissolutrici. Infatti, l'indipendenza del profano dal Sacro, come connotato eminente di un profano che, segnato dalla secolarizzazione, non vive più quella condizione di impotenza radicale, propria delle culture a fondamento mitico-rituale, riducendo, in una misura imponente, l'ambito e il volume dell'efficacia soccorritrice e salvifica del Sacro, ne intacca intimamente proprio l'aspetto della potenza stessa che, per la fenomenologia, costituisce il nucleo essenziale di ogni ierofania, perché questa è cratofania.
16.
1. In questa prospettiva, la "mostruosità" di una produzione figurativa deviante, rispetto a ciò che la cultura occidentale considera naturale ed organico, è legittimamente interpretabile, a mio avviso, nei termini di una semantica del miracolo, sebbene geneticamente non lo sia. Così, un'opera cosiddetta "simbolica", "astratta", "ideografica", in quanto è inorganica, "mostruosa" e immagine del separato dominio "dello spirituale", rivela singolari connotazioni che si riscontrano anche nella semantica del "miracolo". Se, poi, l'opera è ritenuta essere il prodotto di una rivelazione potente, allora è, senz'altro, una entità miracolosa, come, ad es., è tale l'acheropìto.