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Cosa c'è, allora, di meglio, dal punto di vista della comodità e della securizzazione dell'analisi, che esse ci offrono, dell'impiego della categoria del diverso e dell'ideologia dell'attardamento evolutivo e del "relitto" culturale, per comprendere antropologicamente certe sconcertanti "stravaganze" culturali, ovunque esse vengano rilevate? E, tuttavia, cosa c'è di più bislacco di questa singolare riduzione a valore puramente "museologico" di un elemento culturale che tuttavia appartiene, comunque, ad una comunità attualmente vivente e che di esso funzionalmente fruisce ? E che dire, poi, del "fortunato" ossimoro "primitivi attuali"? Quando, a proposito di certi stili devozionali di comunità non urbane, si parla di "paganesimo rurale", se proprio non se ne può fare a meno, bisognerebbe, almeno, addurre delle prove che attestino l'effettiva continuità di una tale supposta "tradizione classica", ricostruendone le vicende della loro trasmissione culturale e della loro resistenza al cambiamento e non convincersi "ad orecchio", sulla scorta di generiche analogie che sempre possono essere rinvenute tra gesti antichi e gesti contemporanei. Che la Chiesa, ad esempio, a partire da Aurelio Agostino, abbia disapprovato, come è noto, bollandoli quali usanze pagane, i sacrifici e le offerte sulle tombe, è bastevole ad autorizzare un antropologo per qualificare senz'altro come relitto culturale pagano certi aspetti dei culti resi ai morti, così importanti e sentiti ancor oggi nelle nostre campagne ? Può pure essere che le cose stiano proprio così, ma il cosiddetto "materialismo" popolare, presente in ogni epoca e in ogni regione della Terra - indigeribile sempre per il cittadino e per l'uomo colto - sembra proprio fatto apposta per sviare l'antropologo e lo storico della cultura. La comoda e tranquillizzante ideologia dell'evoluzionismo culturale ha fornito, poi, la giustificazione teoretica più dura a morire, ancor oggi, ad una ermeneutica antropologica il cui fine era quello di tranquillizzare "il civilizzato", rimettendolo al "centro", dopo il decentramento causato dallo shock dell'alterità etnica, e non, certo, di capire come era fatto "il selvaggio".