19.
Si invocano frequentemente le "ragioni della tolleranza interetnica", il "dovere morale" di attenuare i reciproci etnocentrismi per una convivenza pacifica degli uomini e delle nazioni sulla Terra. Tutto questo sembra confliggere con quanto l'antropologia fenomenologica ha rilevato sull'indole fisiologica dell'etnocentrismo come formidabile strumento di identità etnica e potente sistema di sicurezza per i singoli e per le comunità. Ma, quando una cultura, come quella europea, a partire dal ventesimo secolo, ha smarrito il proprio centro di riferimento identitario, allontanandosi progressivamente da esso, essa non può più continuare a comprendersi mediante la riflessione pura e semplice su se stessa, per autoreferenzialità, cioè mediante l'impiego di strumenti ermeneutici offerti dal proprio sistema culturale che si intende indagare, come se essi, pur essendo delle componenti costitutive dell'universo culturale in crisi, possedessero, tuttavia, una singolare evidenza che li sottrarrebbe al dissesto storico e antropologico generale. Un'antropologia fenomenologica che proceda per contrasto, cioè accostando transculturalmente, di volta in volta, la cultura di casa propria con quelle degli altri, senza sovrapposizioni proiettive e senza identificazioni partecipative, sembra, ormai, l'unico approccio rimastoci per conoscere, in un contesto relazionale autenticamente paritetico, non solo gli altri, ma anche noi stessi, cioè le ragioni di casa nostra, alla vivida luce dell'attrito analitico di queste con le ragioni degli altri.