Epoché radicale

Com’è noto, la tecnica di accesso all’analisi fenomenologica è costituità dall’epoché. L’esercizio di tale tecnica pose non pochi problemi a Husserl, che nel corso delle sue analisi procedette ad un esercizio di radicalizzazione progressiva della stessa tecnica (cfr. Epoché husserliana), ai fini dell’ottenimento di un residuo fenomenologico «autentico», laddove fenomenologicamente, fin dalle origini, per «autenticità» s’intende propriamente un residuo schiettamente «originario», che funga cioè da base di partenza delle analisi stesse per un’indagine geneticamente valida. L’aggettivazione «radicale», qui accostata al termine «epoché», non sta affatto ad indicare l’esaustività e la compiutezza del metodo riformato (cfr. Fenomenologia radicale), bensì l’apertura, propria di ogni metodica fenomenologica che voglia essere effettivamente tale, alla ricerca dell’individuazione di un terreno autenticamente originario d’analisi che conduca propriamente «alle cose stesse».
La radicalizzazione dell’epoché husserliana interviene sulla base di alcuni punti aporetici emersi nelle analisi genetiche husserliane che hanno evidenziato appunto un’inautenticità del piano originario – quello delle «sintesi passive» - che, alla luce delle analisi fenomenologiche radicali, viene, invece, a configurarsi come «derivato». La confusione tra «originario» e «derivato» inficia la trasparenza e l’efficacia stessa delle analisi fenomenologiche. Infatti, a seguito dell’epoché del mondano, esercitata da Husserl per eliminare il «rischio della trascendenza» dalle sue analisi - la quale, a suo parere, avrebbe offuscato la genuinità dei vissuti genetici delle costituzioni delle «oggettività» - il residuo fenomenologico delle sue analisi è costituito, com’è noto, dalla regione «coscienza», individuata da Husserl come modalità che accompagna ogni vissuto/atto di un’Io trascendentale.

L’emergenza di una non approfondita analisi della valenza dell’elemento iletico del vissuto unitamente alla difficoltà legata alla comparsa della trascendenza anche nell’area «pura» dell’immanenza, costituiscono, appunto, alcune tra le aporie più evidenti che hanno indotto ad una riforma dello statuto dell’Erlebnis fenomenologico (Cfr. Fenomenologia radicale). L’attenta analisi della struttura del vissuto, così com’è stato delineato da Husserl, ha mostrato l’inadeguatezza dell’esercizio tecnico dell’epoché husserliana. Infatti, se la trascendenza fa irruzione anche nell’area dell’immanenza, occorrerà rivedere proprio la struttura di quest’ultima, ovvero l’autentica fenomenologicità del residuo Ego. La fenomenologia radicale ha individuato tale residuo come fenomenologicamente «vuoto», ovvero come precipitato non originario, bensì derivato, della struttura «vuota», cioè meramente relazionale, invarianza/piano di variazioni, laddove l’uso di tale aggettivazione rinvia esclusivamente all’assenza di ogni valenza hyletica, la sola che, da tale angolazione d’analisi, possa far rinvenire l’originarietà propria del vissuto «in carne ed ossa». Inoltre, la perdita del «centro» subita dall’Europa e forse, più in generale, dall’Occidente, ha contribuito non poco alla modificazione dell’atteggiamento fenomenologico stesso, attraverso l’esercizio di un’epoché radicale, frutto non già della libertà, ma della crisi della razionalità espressa dall’Europa che ha condotto, come si è detto, ad una riforma della fenomenologia, assunta ormai a «mera» metodologia, priva di ogni istanza fondazionale. Si tratta di una «messa in parentesi» non più di una sfera presupposta esistente – quella del mondano, bensì dell’assolutezza della struttura invarianza/piano di variazioni venuta ad emergenza come effettivamente responsabile dell’atteggiamento e del processo di obiettivazione, costitutivo sia del mondano che dello stesso polo del soggetto.

 


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